Gli All You Can Eat sono arrivati in Italia più o meno all’inizio degli anni duemila. Prima nella grandi città, si sono poi sparsi un po’ ovunque come la grande novità. Generalmente propongono soprattutto cibo asiatico e poi capiremo anche il perché, ne esistono anche brasiliani o comunque con proposte internazionali senza un origine precisa. Ora stanno arrivando anche quelli italiani. Insieme a quelli si sono diffusi in quegli anni pure i “giropizza”, delle vere e proprie maratone di carboidrati e altre proposte simili.
All You Can Eat significa “tutto quello che puoi mangiare”.
Tradotto anche in mangia fin che puoi.
Questo concetto mi manda in tilt, fa a botte con tutto ciò che ho sempre pensato del cibo. Non è un’avversione recente dovuta dal mio percorso sulla sostenibilità e il non spreco. Il mangiare per ingordigia o come si dice bene con un termine dialettale “incoconandosi”, mi mette a disagio.
La mia prima esperienza ad All You Can Eat
La prima volta che sono entrata in un locale che proponeva lo All You Can Eat, sarà stato circa il 2007, ero con un gruppo di amici tutti con famiglie e figli ancora dell’età delle elementari-medie. Era credo uno dei famosi “wok” in zona Treviso. Già l’idea di andare in un posto dove si poteva mangiare così abbondantemente mi infastidiva, ma non ero ancora così poco socievole come ora e ho accondisceso pur di uscire in compagnia.
Erano gli anni in cui ordinavi di tutto al banco e te lo facevano immediatamente: alla griglia, fritto o saltato. Poi ti prendevi al buffet badilate di cose senza un ordine preciso. Ricordo piatti di gamberi alla griglia: dieci gamberi alla volta di cui metà lasciati sul piatto. Riso alla cantonese come se piovesse, gamberi fritti, involtini e via. Tutti prendevano quantità assurde e più della metà venivano rovinate e lasciate sui piatti. Tutti prendevano per assaggiare delle quantità di cibo che non sapevano neppure se a loro piaceva.
Ricordo che mi alzai schifata e giurai che non ci sarei più entrata in un posto simile.
Ho provato ribrezzo anche per il fatto che ci fossero dei ragazzi che crescevano con tale esempio.
Non cambiava molto in quel periodo in una nota pizzeria che frequentavo sempre con le stesse persone, dove appunto il “giropizza” aveva un po’ la stessa sorte. Mangia fino a che sei sull’orlo del vomito. Che poi non potevi scegliere i gusti e naturalmente mangiavi anche quelli di merda, sperando arrivasse quello buono. Quintali di carboidrati buttati dentro ai nostri stomachi così senza un perché.
MANGIA FINO A CHE NON NE PUOI PIÙ!
Quanto si può mangiare e quando si deve mangiare
L’educazione alimentare a me fortunatamente l’hanno data le mie nonne. Una del 1908 e una del 1916, tutte e due hanno sicuramente sofferto la fame e la carestia. Me l’hanno sempre raccontata, ma mai con rabbia, me l’hanno sempre raccontata con educazione dando valore al cibo che oggi ho a tavola.
La prima, con la quale sono cresciuta in casa, mi ha insegnato a mangiare tutto, a non lasciare niente sul piatto, a prendere quello che mi sentivo di mangiare. Non mangiare fuori pasto, fare dei pasti ordinati, non esagerare e se avevi esagerato ed eri costipata, stare a digiuno. Assaggiare con garbo, rifiutare se si è sazi, mai mangiare con ingordigia, gustare lentamente.
La seconda mi raccontava spesso di quando da ragazza era “a servire” da dei signori a Venezia. Di cosa succedeva in quelle cucine dove passava il ben di Dio. Mi parlava dell’abbondanza che a me ricordava la rivoluzione francese, i romani e il Medioevo, perché già da piccola ero in fissa con le tavole e il cibo. E io le chiedevo voi cosa mangiavate: se magnea co i oci (mangiavamo con gli occhi). Mia nonna mi parlava di quell’abbondanza come una cosa finta, era un’abbondanza fittizia perché era per pochi. Loro che erano ragazze, facevano la fame. Mentre per i signori si cuocevano capponi, piccioni, conigli e tutto era oltre l’abbondanza. Lei pensava a sua madre che si era risposata dopo la guerra, ai suoi fratelli che forse non avevano da mangiare. Ma negli anni ’30 c’erano i siori.
Queste riflessioni sono diventate per me pratica nella vita, sempre. Non ho mai sopportato le persone che si prendono un sacco di cose nel piatto e non lo finiscono mai. Ne conosco diverse, ne ho anche frequentate diverse, ora non riuscirei ci litigherei ad ogni pasto. Così come quelle che rifiutano di assaggiare schifando, oppure quelle che mangiano senza gustare ingurgitando come dei tombini.
Non ho mai sopportato chi parla del cibo in modo dispregiativo, chi sbandiera questa abbondanza come segno di benessere. Ricordo negli anni ’90 che si sposavano diversi miei coetanei e andava di moda andare in crociera o nei primi villaggi turistici famosi. Quando tornavano la prima cosa che dicevano era: quanto abbiamo mangiato, c’era da mangiare a tutte le ore.
Niente del viaggio, niente del posto, niente di niente. Solo l’abbondanza del cibo.
E urlavo dentro di me: ma a casa patite la fame? non avete abbastanza da mangiare?
Non sapevano neppure cosa avevano mangiato, sapevano che avevano mangiato tanto.
Ma secondo voi, questi sono tutti retaggi culturali di un popolo che ha patito la fame?

Di quanto cibo abbiamo bisogno?
Capisco il retaggio dei miei genitori, che hanno un po’ patito la carestia e non poter mangiare tutto quello che volevano e nelle quantità magari necessarie quando erano giovani. Ma non capisco i miei coetanei.
Noi non sappiamo nemmeno cosa sia la FAME! Perché allora abbiamo bisogno di ingozzarci fino ad esplodere?
Ci sentiamo realizzati? soddisfatti? evoluti? ricchi?
Perché abbiamo necessità di mangiare fino a stare male, mangiare troppo e mettere in allerta il nostro corpo?
Il cibo dovrebbe essere il nostro sostentamento e dovremmo assumere quello che è il nostro fabbisogno quotidiano in base all’età, al nostro lavoro e al nostro fisico. Quando abbiamo soddisfatto il nostro fabbisogno e il nostro piacere, quindi con del cibo buono, basta.
Questa dovrebbe essere l’etica del cibo e anche se volete la morale. Noi viviamo ancora in un pianeta in cui ci sono popoli che mangiano fino a scoppiare e popoli che non hanno cibo sufficiente per sopravvivere. Noi che mangiamo fino a scoppiare consumiamo anche le risorse degli altri.
Non il cibo, ma le risorse si. Corre l’anno 2022 e non l’abbiamo ancora capito, questa è l’involuzione della specie.
Il 15 maggio l’Italia ha esaurito le risorse ambientali per il 2022, ora stiamo consumando quelle di altri.
L’Overshoot Day quest’anno segna un anticipo, vi consiglio di leggervi questo articolo per saperne di più.

Il rapporto con il cibo
Il cibo e il nostro rapporto con esso, nascondono spesso delle fragilità, dei traumi emotivi o meglio degli equilibri spesso non raggiunti.
Educarsi ed educare all’abbondanza non cresce delle persone gentili, tantomeno sane.
Imparare a mangiare quanto basta, è la cosa che ci permette di avere un controllo sul nostro corpo e sulla nostra salute, sia fisica che mentale. Imparare a mangiare quanto basta ci insegna l’altruismo e il rispetto dell’altro, anche se non lo conosciamo.
Disapprovo per questo, questo tipo di locali dove si è istigati a mangiare tanto a basso prezzo e di conseguenza a bassa qualità che si ripercuote poi sulla nostra salute. Ad oggi la maggior parte delle malattie è dovuta da una cattiva alimentazione, da una dieta sbilanciata e da un abuso di alcune categorie di cibo. Soprattutto da una quantità di cibo superiore alle necessità del nostro corpo. Glicemia, colesterolo, pressione alta sono le più frequenti patologie che poi si ripercuotono sulla compromissione degli organi principali. Sono malattie che vengono riscontrate anche in età adolescenziale.
Siccome mi dite che questi locali sono frequentati soprattutto dagli adolescenti, direi molto male. Perché intanto crescono mangiando del cibo scadente e farà i loro in futuro degli adulti con mille intolleranze e allergie e spesso anche degli obesi.
Questi sono i dati del Ministero della Salute riportati il 4 marzo 2022 Giornata Mondiale dell’Obesità
- L’obesità colpisce 800 milioni di persone, incidendo sulla qualità della vita e aumentando la probabilità di comorbidità; inoltre raddoppia il rischio di ricovero in ospedale per Covid-19.
- Il numero di persone obese nel mondo è triplicato a partire dal 1975.
- Negli ultimi 40 anni, in molti Paesi, si è osservato un aumento della prevalenza di sovrappeso/obesità, sia nei bambini che negli adulti.
- Nel 2019 erano 38 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni in eccesso ponderale
- Nel 2016 erano in sovrappeso o obesi oltre 340 milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni.
- Si stima che l’obesità infantile aumenti del 60% nel prossimo decennio, raggiungendo i 250 milioni entro il 2030.
Se volete approfondire andate pure a leggervi tutto il resto qui.

Poco prezzo poca sostenibilità
La pandemia ha modificato un po’ le regole degli All You Can Eat, eliminando i buffet e facendo un servizio espresso, in più è stata aggiunta la questione che si paga ciò che si lascia. Ma tranquilli ho visto con i miei occhi, adulti mettersi delle cose in borsa per non pagare di più.
La questione è molto semplice: per garantire un prezzo che varia dai 13€ ai 20€, considerando che potrebbe arrivarti un’orda di adolescenti a pranzo che ti mangiano tutto il locale, tu devi acquistare un prodotto talmente economico da permettere che il food coast sia inferiore comunque al prezzo fisso.
Mi sono spiegata?
Per questo lo possono fare soprattutto quelli che fanno cucina asiatica, dove hanno per la maggior quantità del riso che pagheranno pochissimo e cuoceranno una volta alla settimana stoccandolo. Poi il pesce, pesce di qualità discutibile e pescato non si sa dove, che farà dei viaggi pindarici per arrivare dentro ai nostri bellissimi hosomaki e sopra ai nigiri.
Ok so che ora va di moda il ramen. Vogliamo parlare di cosa avrà dentro di materie prime quel ramen e quant’è il costo applicato e cari ragazzi scusate vorrei informarvi che praticamente sono delle tagliatelle o spaghetti in brodo (che se fosse fatto come deve essere fatto non so se lo mangereste) e qualche alga.
Tutto che sa dello stesso sapore se non fosse per quelle salse compresa quella di soia che rendono tutto salato.
Sulla questione dei locali a cibo italiano la proposta maggiore è la pasta. Mi fermo perché potremmo parlare tre ore sulla qualità della pasta. Ho visto molte polpette, arancini, polpettoni, verdure ripiene. Lo sapete che queste sono le famose ricette inventate nelle nostre case per riciclare il cibo?
Vi rimando a leggere questo articolo sulla sostenibilità della gestione di questo tipo di ristorazione.
Quanto viene sprecato?
Un altro aspetto è la quantità di cibo viene buttato. È semplice fare i conti, tornando alla formula qui sopra.
Ogni giorno viene preparato cibo su dei calcoli massimali: numero di coperti X quantità media di cibo X soddisfare al massimo i potenziali clienti.
Il cibo che nel caso dell’asiatico viene scongelato e ciò che non viene consumato viene buttato. Nel migliore dei casi se questo cibo fosse fresco e comunque abbattuto non potrà comunque essere riutilizzato per il pasto successivo. Stessa cosa per il cibo cotto che viene preparato e portato ad una temperatura di consumo e poi deve essere buttato.
Questo è “quasi” certo, sono le regole della sicurezza alimentare, che in questi luoghi pare che vengano sempre rispettate. Questa è una buona cosa per la salute dei consumatori, ma riflettiamo sulle quantità di cibo che vengono buttate.
Ma d’altronde per soddisfare il bisogno del cibo espresso e la velocità, devo avere tutto già “quasi” pronto.
I “quasi” stanno che nella peggiore delle ipotesi non vengono rispettate le norme e ci si mangi del cibo che potrebbe essere deteriorato.
Rimane comunque il fatto che con questa modalità, nel calcolo del food coast va considerato anche ciò che viene buttato. Questo fa scendere ancora la possibilità di una buona qualità del prodotto di base per poter rimanere nel range di un prezzo così basso.
Ora le quantità di spreco si sono ridotte grazie alla gestione espressa e non a buffet. Ma non è abbastanza sostenibile comunque. Provate a pensare cosa succede nelle navi da crociera o nei buffet dei villaggi e se vi capita di parlare con qualcuno che ci ha lavorato o vi lavora rimarrete allibiti.
Consigli
Si, avete intuito che di certo non è il mio genere. Non lo è perché è la filosofia che è scorretta, come quella dei vari Mc Donald e compagnia varia. Perché perdiamo l’essenza della gastronomia, non solo italiana anche internazionale.
Io non sono mai stata in Giappone ma credo che non sia esattamente questa l’idea della cucina che hanno. Oltre al fatto che mi sono confrontata con chi ci vive, che non esistono All You Can Eat. Ho mangiato cucina cinese e dell’ottimo sushi in qualche ristorante in giro e ho pagato il giusto con del pesce fresco e preparato secondo le tecniche della cucina orientale, cose che non hanno niente a che vedere con quei rotolini di riso che sembrano di plastica.
Chiudo questa riflessione, non è una polemica, ma è una riflessione su come noi ci approcciamo al cibo, con un’immagine.
L’immagine è quella dell’osteria, di quelle Osterie d’Italia che sono un po’ l’immagine della ristorazione che Slow Food da anni racchiude in una specie di vangelo-guida.
Osterie che dentro hanno una storia da raccontare, dove puoi andare a pranzo anche durante la settimana in pausa lavoro e mangiare un primo o secondo piatto succulento, fatto bene, con cura e dovizia. Dove ogni prodotto è stato acquistato pagando il giusto al produttore e per questo è reso ancora più qualitativamente prezioso, da chi in cucina fa la magia della trasformazione. Ogni piatto è accompagnato con del pane buono, spesso fatto in casa, con dell’olio buono che racconta la storia di un luogo. Osterie dove puoi berti un calice di vino onesto e ricevere anche un bel sorriso e una parola di conforto anche se pranzi da solo. Ti alzi da quel tavolo spendendo più o meno lo stesso in denaro, ma avrai guadagnato in salute, stile di vita e avrai arricchito più famiglie: quella dell’osteria e quelle dei produttori.
Ecco perché avere un buon rapporto con le quantità del cibo aiuta noi e aiuta tutti, compresa la Terra.
Monica
